Etiopia, il terrore rosso di Menghistu

DALLA GUERRA DI ABISSINIA ALL'ORRORE DEGLI ANNI SETTANTA

Quando l’imperialismo era ormai incamminato sulla via del tramonto, Mussolini ordinò la conquista dell’Etiopia. Nel 1935 le truppe italiane attaccarono e l’Abissinia divente teatro di guerra. L’Imperatore d’Etiopia, Selassié, si appellò alla Società delle Nazioni, che deliberò delle inutili sanzioni economiche contro l’Italia. L’esercito italiano riuscì a sconfiggere la resistenza degli etiopi grazie a un poderoso schieramento di forze e utilizzando in alcuni casi anche armi chimiche. L’imperatore Selassié fuggì in esilio e le truppe del governo fascista di Roma entrarono ad Addis Abeba. Mussolini annunciò la nascita dell’Impero e il re Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d’Etiopia. L’Etiopia divenne quindi parte dei possedimenti Italiani insieme a Eritrea e Somalia nel corno d’Africa e alla Libia.

Ma l’avventura coloniale italiana durò poco. Alla fine della seconda guerra mondiale, con la caduta del fascismo, riprese il potere Selassié che avviò, anzi proseguì negli anni, l’opera di modernizzazione del Paese e soprattutto della capitale Addis Abeba. Il potere rimase sempre fortemente accentrato nelle sue mani. Ma nel 1973 la crisi energetica mondiale e una tremenda carestia esasperarono la popolazione, che si sollevò contro il governo. Iniziò l’epoca del negus rosso.

Il negus rosso Menghistu

Nel 1974 scoppiò la guerra civile e, in piena guerra fredda, una giunta militare sostenuta dall’Urss attuò un golpe, depose Selassié e trasformò l’Etiopia in uno Stato comunista. In quegli anni il Paese fu colpito da una grave siccità. Nella lotta interna tra le diverse fazioni prevalse nel 1977 quella più radicale di Menghistu che, supportato dall’Unione Sovietica, divenne il leader incontrastato eliminando tutti gli oppositori e instaurando il cosiddetto terrore rosso, durante il quale persero la vita almeno 500 mila persone, anche a causa delle deportazioni forzate e dell’uso della fame come arma. Tra il 1983 e il 1985 l’Etiopia fu colpita da una nuova gravissima carestia che causò la morte di altre 400 mila persone. In alcune regioni dell’Etiopia e in Eritrea scoppiarono insurrezioni contro la dittatura comunista di Menghistu e si formò un fronte rivoluzionario, contro il quale il regime di Menghistu attuò una dura repressione, assistito da consiglieri militari e truppe provenienti dall’Urss e da Cuba.

Con la fine del comunismo in Europa orientale in seguito alle rivoluzioni del 1989, nel 1990 si interruppero completamente gli aiuti sovietici all’Etiopia. La strategia militare e politica di Menghistu impegnato contro il fronte anticomunista, subì un colpo durissimo. Le forze ribelli avanzarono su Addis Abeba e l’Unione Sovietica, ormai dissolta, non intervenne per salvare il regime alleato. Menghistu fuggì con la famiglia dal Paese rifugiandosi in Zimbabwe presso l’amico e alleato Robert Mugabe, dove tuttora (2020) risiede come consigliere alla sicurezza. La magistratura etiope avviò un lungo processo contro i dittatore e lo condannò in contumacia per genocidio e crimini di guerra: sentenza di condanna a morte, ovviamente mai eseguita in quanto Menghistu si trovava in Zimbabwe.