Afghanistan in 3 atti

L'INVASIONE RUSSA, I TALEBANI, LA GUERRA IN AFGHANISTAN

AFGHANISTAN in 3 atti

  1. Primo atto: l’invasione sovietica
  2. Secondo atto: i talebani
  3. Terzo atto: la guerra in Afghanistan

 

  1. Primo atto: l’invasione sovietica 1979-1989 e la guerriglia mujaheddin sulle montagne

La prima guerra in Afghanistan iniziò con l’invasione sovietica del 24 dicembre 1979 e terminò nel 1989 e vide contrapposte da un lato l’armata rossa sovietica (truppe di terra e forza aerea) alleata alle forze armate afghane, e dall’altro vari gruppi di guerriglieri mujaheddin, appoggiati materialmente e finanziariamente da un gran numero di nazioni estere: il conflitto fu parte della guerra fredda nonché primo atto della più ampia guerra civile afghana.

L’armata rossa sovietica invase l’Afghanistan per sostenere il governo comunista minacciato dalla guerriglia islamica dei mujaheddin. I mujaheddin divisi in più schieramenti intrapresero una lunga campagna di guerriglia contro le forze sovietico-afghane, ed erano sostenuti con armamenti, rifornimenti militari e dall’assistenza logistica da Stati Uniti, Pakistan, Iran, Arabia Saudita, Cina e Regno Unito.

Dopo più di nove anni di guerra, che provocarono un altissimo numero di morti, l’intervento sovietico terminò con la ritirata generale nel 1989 (segretario dell’Urss era Gorbaciov), e con la firma degli accordi di Ginevra ma gli scontri tra mujaheddin e truppe governative proseguirono nell’ambito della guerra civile afghana.

Le cause dell’invasione sovietica

L’Afghanistan era dominio inglese. I rapporti tra Afghanistan e Unione Sovietica erano di vecchia data: nel 1919 l’Afghanistan fu il primo a riconoscere il governo bolscevico instauratosi a Mosca dopo la rivoluzione d’ottobre, ricevendo in cambio sostegno e appoggio durante la guerra anglo-afghana, conflitto che terminò con l’indipendenza dell’Afghanistan, retto da una monarchia, dal Regno Unito. I rapporti tra Urss e Afghanistan si rafforzarono e dall’Urss arrivarono forniture militari e negli anni Cinquanta finanziamenti per la costruzione di strade, infrastrutture e aeroporti, oltre all’addestramento e all’equipaggiamento dell’esercito (quasi 3 miliardi di dollari di aiuti militari e civili). L’Afghanistan aveva per l’Urss una posizione e un ruolo geografico strategico.

L’Afghanistan entrò in conflitto con il vicino Pakistan per il confine terrestre tra i due paesi, fissato durante il periodo della dominazione britannica: privo di sbocchi al mare e dipendente quindi dai porti pakistani, l’Afghanistan negli anni Sessanta andò incontro a una grave crisi economica proprio a causa del conflitto con il Pakistan. Si formò quindi un partito marxista leninista, spaccato in 2: l’ala più moderata faceva capo a Karmal, e puntava a una riforma graduale della società agendo in collaborazione anche con il sovrano (il Paese era ancora una monarchia), e l’ala più radicale guidata da Amin, più intransigente e massimalista, e soprattutto ostile al monarca.

La società afghana era ancora strutturata secondo logiche tribali e refrattaria alla modernizzazione.

Nel 1973 fu rovesciata la monarchia e si insediò un governo repubblicano guidato da Daud. Contro il nuovo governo (che non era ancora quello marxista leninista) cominciarono a formarsi le prime organizzazioni di guerriglia, sostenute dal Pakistan che temeva le ingerenze sovietiche. Agenti pakistani fecero evacuare da Kabul i 2 importanti leader del movimento islamico dell’Afghanistan, che si opponevano al nuovo governo: Rabbani (takigo) ed Hekmatyar (pashtun), portandoli al sicuro, e contemporaneamente crearono campi d’addestramento per i ribelli afghani all’interno del Pakistan.

Intanto cresceva la pressione e l’ingerenza sovietica. E le etnie erano sempre più divise e nemiche fra loro.

Nel 1978 il partito marxista leninista attuò un secondo colpo di Stato con l’appoggio dell’esercito e dell’Unione Sovietica e le due fazioni (Karmal e Amin) si spartirono il potere.

Il nuovo governo filosovietico portò avanti i programmi di modernizzazione socio-economica di tipo socialista: le grandi proprietà terriere furono confiscate e redistribuite a famiglie di contadini poveri, furono aboliti i latifondi, le banche furono nazionalizzate, in ambito sociale si tentò di sradicare la pratica dei matrimoni combinati e l’imposizione del burqa, cercando di riaffermare l’emancipazione delle donne confermando loro il diritto di voto e incoraggiandole a partecipare attivamente alla vita politica. Fu stretta una alleanza con l’Urss che si impegnò in Afghanistan realizzando strade e infrastrutture e avviando progetti di esplorazione delle vaste ma poco sfruttate risorse minerarie del paese.

L’ammodernamento del Paese e la modernità del governo filosovietico furono un trauma per gli abitanti delle zone rurali, nettamente maggioritari nel paese: la natura stessa delle riforme, contrarie ai principi tradizionali e religiosi afghani, e l’eccessiva velocità con cui furono introdotte, generarono una forte ostilità nei confronti del governo di Kabul. Le idee del marxismo-leninismo non presero piede in una popolazione prevalentemente rurale e analfabeta, assolutamente fedele ai precetti islamici. Scattarono arresti ed esecuzioni sommarie da parte delle forze governative contro la popolazione rurale che non accettava il cambiamento. La repressione portata avanti dal governo di Kabul provocò una recrudescenza delle opposizioni e dal Pakistan (islamico) i mullah e i leader islamici in esilio invocavano la jihad contro il regime comunista. Così verso la fine del 1978 nelle zone montuose dell’Afghanistan presero a formarsi le prime bande di guerriglieri anti-governativi, i mujaheddin (cioè i combattenti della jihad), a cui si affiancarono moltissimi reparti regolari dell’esercito, che ormai non rispondevano più al governo comunista. Nel 1979, 25 delle 28 province dell’Afghanistan erano in rivolta contro il governo.

Per far fronte all’insurrezione e al disfacimento delle forze armate afghane, Kabul richiese l’appoggio militare sovietico: prima consiglieri militari, poi unità di elicotteri d’attacco dell’Armata Rossa, quindi carri armati e blindati sovietici, infine un massiccio contingente di truppe da combattimento sovietiche.

Contemporaneamente anche la guerriglia iniziava a ricevere aiuti e appoggi da altre nazioni, non solo da parte del tradizionale alleato pakistano (essendo sia i mujaheddin che il Pakistan musulmani) ma anche dagli Stati Uniti: le relazioni tra Washington e Kabul, già pessime dopo il colpo di Stato dei comunisti, precipitarono nel febbraio del 1979 quando l’ambasciatore americano fu sequestrato e ucciso.

Il progressivo estendersi della guerriglia e del relativo coinvolgimento sovietico, spinsero gli Stati Uniti a un sostegno sempre più massiccio dei mujaheddin: nel 1979 il presidente Jimmy Carter autorizzò la CIA a svolgere “covert operations” per sostenere la guerriglia. Lo scopo degli Usa era far scivolare l’Urss nel “suo” Vietnam, provocando un sempre maggiore coinvolgimento di Mosca in Afghanistan, per logorarne le risorse militari appunto in maniera similare a quanto accaduto agli stessi Stati Uniti nel corso della guerra in Vietnam.

Il governo afghano passò sotto la guida del comunista Amin che inasprì ancora di più la repressione e in soli due mesi a Kabul furono giustiziati circa 10.000 oppositori, principalmente mullah e capi villaggio. E ciò provocò una escalation della guerriglia antigovernativa.

Morfologia per capire la guerra – Oltre l’85% del territorio afghano è montagnoso e comprende le catene dell’Hindu Kush, con vette tra i 2.000 e i 7.000 metri, e la catena dei monti Sulaiman lungo il confine sud orientale con il Pakistan, con vette tra i 2.000 e i 5.000 metri. Esistono ampie zone desertiche a nord e a sud, il territorio è generalmente arido, con solo il 5% del totale occupato da foreste.

La rete stradale per il 75% è in terra battuta collega come un anello solo le città principali: Kabul, Mazar-i Sharif, Herat, Kandahar per chiudersi nuovamente a Kabul, un percorso estremamente accidentato e pericoloso per a presenza di numerosi ponti e gallerie. Le condizioni orografiche e climatiche spesso proibitive e la rete stradale quasi inesistente rendevano quindi di fatto impossibile condurre le operazioni militari intensive via terra, che costituivano la strategia operativa e il modello tattico sovietico e rendevano problematiche attività ordinarie quali i pattugliamenti e l’invio di rifornimenti e materiali logistici.

La popolazione afghana nel 1979 era per l’80% in zone rurali e per l’80% dedita all’agricoltura e alla pastorizia a livelli di sussistenza. Il 90% era analfabeta. Ampie zone del paese, quali i deserti meridionali e i massicci montuosi centrali e del nord-est, erano pressoché disabitate. La popolazione era divisa in 20 gruppi etnici: la componente principale era costituita dalle tribù pashtun. La religione era quella musulmana sunnita.

Il regime massimalista e spietato del governo comunista afghano provocò sgomento nel governo sovietico: Mosca temeva che le politiche repressive potessero portare a una rivoluzione islamica come avvenuto pochi mesi prima in Iran, con il rischio non solo di perdere l’influenza sull’Afghanistan. Ciò provocò una totale revisione dell’atteggiamento sovietico. Breznev autorizzò quindi un intervento massiccio diretto dell’armata rossa per riportare l’ordine e bloccare gli estremismi del governo (seppur comunista) di Kabul, per fermare l’escalation e impedire una rivoluzione in un paese strategico per l’Urss, in ossequio alla cosiddetta “dottrina Breznev” già applicata in Cecoslovacchia. L’intervento puntava anche a migliorare l’immagine dell’URSS presso gli afghani, eliminando il governo intransigente di Amin per rimpiazzarlo con il più moderato Karmal.

Scattò quindi l’invasione dell’Afghanistan. Il piano prevedeva (in 3 anni, ma fallì):

  1. la neutralizzazione delle forze armate afghane
  2. l’invasione vera e propria, diretta a occupare i centri principali e le linee di comunicazione
  3. l’eliminazione di Amin e i suoi fedeli
  4. la stabilizzazione della situazione politica e la ricostruzione dell’esercito afghano, a cui sarebbe stata progressivamente demandata la conduzione delle operazioni di repressione della guerriglia

L’armata rossa prese Kabul, Herat e Kandahar. Il neo presidente Karmal proclamò la caduta del regime di Amin e la formazione del nuovo governo filosovietico.

L’invasione sovietica provocò una forte reazione internazionale: gli Stati Uniti con Jimmy Carter fecero saltare gli accordi SALT II sottoscritti con i sovietici il 18 giugno 1979, per poi imporre anche un embargo sulla fornitura di grano all’URSS e boicottarono per protesta le olimpiadi di Mosca, seguiti da nazioni europee, asiatiche e sudamericane e da quasi l’intero blocco dei paesi arabi.

Le forze armate afghane, salvo qualche reparto scelto, erano inadeguate per affrontare la guerriglia e quindi inaffidabili. Solo l’aeronautica militare afghana disponeva di una forza valida (dieci squadriglie da 10 aerei ciascuno Mig e cacciabombardieri e 6 squadroni di elicotteri). Visto il disfacimento delle forze afghane, i sovietici furono costretti a estendere il loro coinvolgimento diretto nei combattimenti, e di conseguenza il numero di effettivi, arrivando a quota 520.000 militari sovietici che si alternarono durante tutto il conflitto (stesso numero delle truppe Usa in Vietnam). L’aviazione sovietica fornì un massiccio supporto con dieci squadroni di caccia e cacciabombardieri e 7 reggimenti da 30-50 elicotteri ciascuno.

I mujaheddin – L’invasione sovietica catalizzò i vari gruppi di guerriglieri afghani che si opponevano al governo di Kabul: se fino ad allora il conflitto era stato una questione interna al popolo afghano, l’invasione sovietica lo trasformò in una guerra di liberazione. Tutti i gruppi concordavano sull’obiettivo finale di cacciare i sovietici e abbattere il governo di Karmal, ma non ci fu una guida unitaria e una reale unità. I gruppi di mujaheddin rimasero divisi quindi per tutta la durata del conflitto in base alle regioni di provenienza, ai clan di appartenenza e alle varie ideologie politiche e religiose seguite.

I gruppi mujaheddin:

  • Fra i gruppi politici a cui facevano capo i mujaheddin c’era quello guidato da Hekmatyar, uno dei primi partiti ad innescare la guerriglia, composto da pashtun, diffuso in quasi tutto il paese e di idee fortemente fondamentaliste, puntava come scopo finale a instaurare uno Stato islamico in Afghanistan. Godeva di un forte appoggio da parte del Pakistan e del mondo arabo.
  • Altro gruppo politico quello di Rabbani a cui facevano capo i tagiki, gli uzbeki e i turkmeni, risultando così molto forte nelle zone settentrionali e occidentali del paese, annoverando tra le sue file anche il famoso comandante Massoud, nella foto, il “Leone del Panjshir” anche lui di etnia tagika con posizioni moderate e non antioccidentali, che intratteneva buoni rapporti con gli americani.
  • Gli altri gruppi politici erano prevalentemente fondamentalisti legati al mondo arabo, e con l’obiettivo di instaurare una repubblica islamica. Ad ogni movimento politico faceva capo un gruppo mujaheddin.

I guerriglieri mujaheddin erano in genere agricoltori o artigiani, radicati alla loro terra natia e disposti a battersi unicamente per gli interessi del proprio gruppo familiare o tribale, mentre i comandanti erano scelti in base alla loro estrazione sociale o alla posizione ricoperta nel clan, e si guadagnavano l’obbedienza dei propri uomini unicamente con il loro carisma e la loro forza di persuasione.

Tutti godevano dell’appoggio internazionale. Le forze in campo:

  • Gli Usa: fra le armi fornite ai guerriglieri dagli Usa c’erano i micidiali stinger, missili moderni, un sistema d’arma terra aria per abbattere i velivoli sovietici che si rivelò determinante per l’esito del conflitto, in quanto senza copertura aerea (soprattutto elicotteri) le forze sovietiche erano estremamente vulnerabili considerata l’orografia del territorio. L’obiettivo Usa iniziale fu quello di prolungare la durata del conflitto, in modo da “dissanguare” le forze sovietiche e indebolire l’URSS, ma dal 1985 in poi l’obiettivo cambiò e fu quello di ottenere una vittoria militare dei mujaheddin e la caduta del governo comunista afghano.
  • Il Pakistan divenne fin da subito la base logistica della guerriglia, punto di partenza per rifornire i mujaheddin con armi e rifornimenti militari. Ma il contributo principale del Pakistan al conflitto si ebbe con l’addestramento dei guerriglieri da parte del servizio segreto pakistano in collaborazione con la CIA.
  • Anche il Mossad collaborò con la CIA fornendo ai guerriglieri armi di fabbricazione sovietica (quindi non riconducibili agli USA) catturate dagli israeliani durante la guerra del Libano e stessa cosa fece l’Egitto, fornendo alla guerriglia armi leggere sovietiche prese dai suoi arsenali.
  • Anche se con obiettivi differenti, importante fu anche il contributo dato dall’Iran: benché coinvolto in contemporanea la lunga e logorante guerra contro l’Iraq, Teheran fornì armi e rifornimenti ai gruppi di mujaheddin sciiti operanti nell’ovest, aprendo anche il suo territorio alle unità di guerriglieri in fuga dai rastrellamenti sovietici.
  • L’Arabia Saudita fu il principale finanziatore dei mujaheddin e reclutando, addestrando e inviando in Afghanistan di combattenti volontari provenienti da tutto il mondo islamico.
  • Il sostegno arrivò perfino dall’organizzazione del miliardario saudita Osama bin Laden (che non era ancora terrorista e non aveva ancora fondato al-Qaeda): istituì campi d’addestramento in territorio pakistano con i finanziamenti della CIA, campi che poi furono utilizzati da bin Laden per costituire e addestrare i terroristi di al-Qaeda.

La fase più cruenta della guerra fu quella del periodo 1980 – 1985 e vide i sovietici attuare operazioni su larga scala di “ricerca e distruzione” delle bande di mujaheddin. Dal 1985 in poi i sovietici cercarono una via d’uscita dal conflitto, cercando di coinvolgere di più le truppe afghane e avviando i primi contatti diplomatici con i guerriglieri, fino al totale disimpegno e la ritirata (1989).

Moltissime analogie quindi con la guerra del Vietnam.

Rastrellamenti, imboscate e sabotaggi

Le pesanti perdite subite negli scontri in campo aperto convinsero i mujaheddin a passare a tattiche di guerriglia e a spostare la guerra su un terreno a loro più congeniale, le montagne afghane; di conseguenza i sovietici furono costretti a lasciare le loro basi fortificate per dare la caccia ai guerriglieri afghani, con rastrellamenti in terreni impervi. Uno degli obiettivi primari erano i mujaheddin del comandante Massoud. La necessità di combattere una guerriglia in montagna obbligò i sovietici a rivedere le loro tattiche: l’armata rossa era una forza convenzionale, addestrata per una guerra su vasta scala con ampio impiego di carri armati e forze meccanizzate, inutili su terreni impervi come le montagne afghane nel Nord, dove si erano arroccati i mujaheddin. I sovietici intrapresero quindi operazioni capillari con reparti aerotrasportati. Dopo i rastrellamenti le truppe sovietiche si ritiravano nei loro fortini, una volta che esse erano concluse, consentendo ai guerriglieri di rioccupare la zona di operazioni entro poco tempo. E ci fu una escalation di imboscate fra le montagne e sabotaggi nelle basi sovietiche. Ma anche di azioni terroristiche contro il governo di Kabul.

Una strategia che puntava a creare un clima di insicurezza nelle truppe sovietiche e governative. Il non coordinamento dei guerriglieri non consentiva operazioni e su vasta scala, ma ciò fu un vantaggio: i sovietici si trovarono ad affrontare non un unico avversario ma una miriade di piccole guerre locali.

I sovietici cominciarono così bombardamenti massicci sui villaggi, distruggendo granai, raccolti e canali d’irrigazione, massacrando il bestiame, obbligando le popolazioni rurali ad abbandonare le loro case, per fare terra bruciata, utilizzando anche armi chimiche fra cui gas nervini. Operazioni che distrussero la già precaria economia afghana, prevalentemente agricola e pastorizia. I rastrellamenti e gli attacchi sovietici divennero brutali, con esecuzioni sommarie, campagne di terrore, rappresaglie sulle popolazioni civili.

La fornitura ai mujaheddin di stinger, sistemi d’arma antiaerei aumentò drasticamente le perdite di velivoli da parte sovietica: un pugno di guerriglieri dotato di missili spalleggiabili come appunto gli stinger statunitensi poteva causare danni enormi.

Gli insuccessi e le pesanti perdite patite nel 1985 convinsero Gorbaciov dell’inutilità di continuare la guerra e così decise di avviare il ritiro delle forze sovietiche dall’Afghanistan. Come per il Vietnam, a partire dal 1986 Gorbaciov avviò un programma di “afghanizzazione” del conflitto, trasferendo maggiori responsabilità belliche alle truppe afghane per disimpegnare quelle sovietiche fino al completo ritiro.

La guerra in Afghanistan fu anche una delle cause che concorsero alla dissoluzione dell’Unione Sovietica.

I morti sovietici furono circa 26mila. Stimare le perdite afghane è molto difficile: le stime vanno da 670.000 a 2 milioni di civili afghani morti. Più di 5 milioni di afghani (un terzo della popolazione prebellica) trovarono rifugio nei campi profughi allestiti in Pakistan o in Iran. Il paese era stato devastato dai combattimenti. Il sistema di irrigazione del paese, di vitale importanza visto il clima arido, uscì quasi completamente distrutto dal conflitto, rendendo incoltivabili molte zone. Tra i 10 e i 16 milioni di mine furono sparse per tutto il paese da entrambi i fronti, continuando a mietere vittime anni

Con il disimpegno sovietico, il conflitto tornò a una dimensione di guerra civile e non di lotta contro l’occupante straniero, fra i mujaheddin e il governo comunista filosovietico costituito durante l’invasione. Ma la guerra interna fu in posizione di stallo.

La dissoluzione dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991 rappresentò l’inizio della fine per il governo comunista di Kabul: con la sua economia a pezzi, lo Stato afghano era completamente dipendente dagli aiuti provenienti da Mosca, non solo per quelli militari ma anche per la fornitura di grano e combustibili, ma il nuovo governo russo di Boris Eltsin decise interrompere ogni sostegno a Kabul e l’Afghanistan sprofondò nel caos.

I mujaheddin di Hekmatyar e di Massoud marciarono ed entrarono a Kabul nel 1992, il governo comunista fu cancellato e al suo posto i leader ribelli proclamarono la Repubblica islamica dell’Afghanistan. Le divisioni etniche e tribali dei mujaheddin a questo punto esplosero in tutta la loro interezza: l’elezione del tagiko Rabbani alla guida del nuovo Stato scatenò l’ostilità della maggioranza pashtun, gruppo etnico politicamente dominante. Ritiratesi da Kabul, le milizie pashtun di Hekmatyar dichiararono guerra al nuovo governo a guida tagika. L’Afghanistan collassò nell’anarchia totale, con vari signori della guerra e leader tribali che si dividevano il territorio.

  1. I talebani – Il potere ai talebani e la guerriglia mujaheddin dell’Alleanza del Nord

La frammentazione del fronte mujaheddin consentì, dal 1996 al 2001, la presa del potere da parte dei talebani, salvo che in alcuni territori settentrionali controllati dalla nascente Alleanza del Nord dei mujaheddin (che pur essendo musulmani erano anti-talebani), guidati dal comandante Massoud, leader carismatico fin dalla guerra contro i sovietici, il quale – moderato e filoccidentale – intendeva arginare e contrastare il pericolo del fondamentalismo islamico. Uomo colto, musulmano osservante, ma non integralista. Una figura così leggendaria da ricordare gli eroi letterari del passato.

I talebani applicarono la sharia in modo radicale e ogni defezione veniva punita con estrema ferocia.

I talebani sono gli studenti delle scuole coraniche incaricati della prima alfabetizzazione, basata su testi sacri islamici. Il nome ha assunto notorietà a causa dell’improprio uso del termine da parte dei media per indicare i fondamentalisti presenti in Afghanistan: un movimento politico e militare per la difesa dell’Afghanistan nella guerriglia successiva al crollo del regime sovietico. Portatori dell’ideale politico-religioso finalizzato alla creazione di un Emirato, hanno governato su gran parte dell’Afghanistan (escluse le regioni più a occidente e a settentrione) dal 1996 al 2001 data in cui gli Americani avviarono la guerra in Afghanistan (atto numero 3).

Fra i leader più influenti il mullah Omar, capo del movimento. Ostili a qualsiasi forma di modernità e di occidentalizzazione, applicarono il pensiero islamico in modo radicale, anche sulle popolazioni che erano comunque musulmane, con estrema ferocia

Dopo la caduta nel 1992 del governo comunista e l’ingresso a Kabul dei mujaheddin – come detto – l’Afghanistan piombò nella guerra civile tra i vari gruppi di mujaheddin, principalmente fra i pashtun di Hekmatyar e i tagiki di Rabbani al governo. In questo contesto di caos, i talebani emersero come una forza armata in grado di portare ordine in un paese devastato economicamente. Combatterono subito i signori della guerra e imposero con la forza una tregua richiamandosi ai valori dell’Islam. Avevano l’appoggio sia dell’etnia pashtun che dei pakistani che in cambio ottennero protezione lungo le vie di collegamento fra Pakistan e Russia (ormai ex Urss) che attraversavano l’Afghanistan. L’appoggio pakistano fu di tipo economico, addestramento e armi, che i talebani utilizzarono per conquistare il Paese poco per volta.

Gli Stati Uniti sperarono inizialmente che i talebani potessero spingere i signori della guerra a risolvere le loro divergenze e scelsero una politica di non intervento. Benché i talebani fossero chiaramente radicali, dato il caos che regnava in Afghanistan, la loro comparsa fu considerata all’inizio positiva per riportare ordine nell’area. Alcune testimonianze riportano che nel 1994, venendo a conoscenza del rapimento e dello stupro di due ragazze da parte dei signori della guerra, vicino a Kandahar, il mullah Omar, ex mujaheddin, organizzò un gruppo di combattimento, salvò le ragazze e impiccò i responsabiIi. I contadini, afflitti dai soprusi dei signori della guerra, cominciarono a chiedere protezione ai talebani.

La conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani fu inarrestabile: prima Kandahar poi Herat e infine l’assedio a Kabul. Nel 1996, come anticipato sopra, il presidente afghano Rabbani, Massoud e il loro principale antagonista, Hekmatyar, smisero di combattersi, si ritirarono nel Nord e formarono una nuova alleanza anti-talebana, ritirandosi a nord e fondendosi nell’Alleanza del Nord guidata da Massoud, e permettendo ai talebani di occupare Kabul i quali diedero così vita all’Emirato Islamico dell’Afghanistan. L’unica parte del Paese non in mano ai talebani era quella sotto il controllo dell’Alleanza del Nord di Rabbani, Hekmatyar e Massoud.

La ritirata dei mujaheddin fu strategica, come tante ce ne furono nella storia – disse Massoud a Ettore Mo, in una celebre intervista al Corriere della Sera, per salvare i propri uomini dal massacro, il proprio arsenale e per riorganizzarsi. Fra il 1996 e il 2001 i mujaheddin dell’Alleanza del Nord guidata dal leggendario Massoud lanciarono quindi un’offensiva contro i talebani: stessi metodi di guerriglia applicati contro l’invasore russo. Dopo l’11 settembre 2001, l’Alleanza del Nord (senza Massoud, ucciso due giorni prima – vedi più avanti) proseguì la guerra contro i talebani e, in questa seconda fase, con gli alleati occidentali sul campo: Usa e Gb della missione Enduring Freedom che prese il via dopo l’attentato alle Torri Gemelle.

Una volta al potere, i talebani istituirono la sharia (legge islamica), si tornò a far ricorso all’amputazione di una o anche di entrambe le mani per il reato di furto e alla lapidazione per gli adulteri. I talebani vietarono la tv, la pittura, la musica e la danza, anche in occasione delle tradizionali cerimonie nuziali. Era illegale portare la barba troppo corta o radersi del tutto mentre era severamente punito il tagliare i capelli alla moda “occidentale”, e fu severamente punito non pregare nei momenti prescritti. L’Afghanistan da sempre era un produttore ed esportatore di oppio e di droga. I talebani vietarono la coltivazione dei papaveri da oppio, azzerando la produzione (dall’Afghanistan proveniva il 70% del totale mondiale) eccetto quella sotto il loro diretto controllo: la coltivazione e la vendita di oppio sotto controllo talebano veniva utilizzata per finanziare l’acquisto di armi e le operazioni militari. Il divieto di coltivazione e quindi il crollo della produzione fece decuplicare il valore dell’oppio stesso sul mercato.

La politica dei talebani prevedeva la segregazione della donna. Per uscire di casa le donne dovevano utilizzare il burqa, e dovevano essere accompagnate da un uomo.

Massoud fu ucciso nel suo rifugio due giorni prima dell’11 settembre da un attentato terroristico kamikaze probabilmente organizzato da al-Qaeda: eliminando il leader carismatico dell’Alleanza del Nord intendeva al-Qaeda indebolire il principale antagonista dei talebani ormai alleati (fin dal 1996 bin Laden aveva trovato rifugio nell’Afghanistan dei talebani): l’esercito mujaheddin che controllava l’unica area del Paese (il Nord) ancora fuori dal controllo talebano. L’assassinio del famoso leone del Panjshir fu offuscato dall’attentato alle Torri Gemelle, e i due eventi sono collegati fra loro dalla matrice terroristica: al-Qaeda.

  1. La guerra in Afghanistan

Nel 1996, il saudita Osama bin Laden si spostò in Afghanistan sotto la protezione del mullah Omar, leader talebano. Bin Laden stipulò un’alleanza tra i talebani e la sua organizzazione al-Qaeda: i talebani consentirono a bin Laden di costruire campi di addestramento terroristici in Afghanistan. Dopo gli attacchi di al-Qaeda alle ambasciate Usa in Kenya e in Tanzania e soprattutto dopo l’11 settembre 2001, bin Laden diventò il nemico pubblico numero 1 per gli Stati Uniti e, con lui, tutti coloro che gli garantivano protezione e appoggio logistico. Gli USA incolparono i talebani di proteggere bin Laden e gli autori dell’attacco. Gli Stati Uniti d’America, davanti al rifiuto di consegnare bin Laden, avviarono un mese dopo l’attentato alle torri gemelle un’azione militare contro i talebani in Afghanistan. Obiettivo: colpire le basi di al-Qaeda e rappresaglia per l’aiuto fornito a bin Laden dai talebani. Iniziò così nel 2002 l’operazione Enduring Freedom, cioè l’invasione dell’Afghanistan, che si poneva come obiettivo la fine del regime dei talebani e la distruzione dei campi di addestramento e della rete di al-Qaeda.

Nel 2011, dieci anni dopo l’inizio della guerra, le forze speciali Usa hanno condotto un’incursione vicino Islamabad in Pakistan, uccidendo Osama bin Laden.

Prima dell’attacco americano, i talebani accettarono di far processare bin Laden, ma da un tribunale religioso sottoposto alle leggi della sharia. Gli Usa rifiutarono. Accettarono anche di consegnare il leader di al-Qaeda a un paese terzo, a condizione che fossero presentate prove a suo carico quale responsabile dell’11 settembre. Ma gli Usa rifiutarono. Alcune fonti sostengono che l’atteggiamento americano “interventista” e la velocità del dispiegamento militare e l’immediato accordo raggiunto con l’Alleanza del Nord lasciavano supporre che gli USA avessero pianificato l’invasione dell’Afghanistan ben prima dell’11 settembre. E’ una teoria del complotto e che si basa su dietrologie.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò risoluzioni contro il terrorismo che pur non autorizzando esplicitamente l’attacco, conteneva una autorizzazione implicita. Nel 2004, i media occidentali trasmisero un filmato nel quale Osama bin Laden dichiarava che al-Qaeda era direttamente coinvolta negli attacchi. E nel 2006 venne diffuso un messaggio audio in cui bin Laden ammetteva di aver personalmente addestrato i terroristi dell’11 settembre 2001.

George W. Bush diede il via alle operazioni. La guerra iniziò un mese dopo l’11 settembre, con un bombardamento aereo e con missili cruise sull’Afghanistan, con l’obiettivo di colpire le forze talebane e di al-Qaeda. In diretta la CNN trasmise in esclusiva le immagini dei bombardamenti di Kabul in tutto il mondo. Sugli obiettivi furono lanciati missili cruise di tipo tomahawk. Contemporaneamente la tv al Jazeera ricevette un messaggio video di Osama bin Laden in cui affermava che gli Stati Uniti avrebbero fallito in Afghanistan e poi sarebbero crollati, proprio come l’Unione Sovietica.

Seguirono i bombardamenti aerei e gli attacchi con elicotteri alle basi talebane e di addestramento di al-Qaeda. Gli obiettivi venivano individuati dalle forze speciali Usa e GB che si infiltravano sul terreno e segnalati all’aviazione che eseguiva l’attacco.

Le milizie talebane vennero decimate e gli Usa presero il controllo delle principali città afghane. Intanto, l’Alleanza del Nord (senza più Massoud) alleata agli Stati Uniti, con la collaborazione della CIA e delle Forze Speciali Usa e Inglesi, iniziò la sua parte dell’offensiva: conquistare il Nord e avanzare verso Kabul. All’Alleanza del Nord spettavano le operazioni di terra, in quanto i mujaheddin erano esperti sul campo, conoscevano il territorio, contrariamente all’esercito Usa. Gli Stati Uniti volevano evitare gli errori compiuti dall’Urss qualche anno prima, e dagli stessi Usa in Vietnam.

Il regime talebano collassò rapidamente. Le città talebane caddero una dopo l’altra e alla fine i talebani abbandonarono anche Kabul che fu presa dall’Alleanza del Nord. Talebani e al Qaeda si rifugiarono nelle caverne sulle montagne e l’aviazione statunitense iniziò a bombardare i rifugi, mentre cadevano anche le ultime roccaforti, fra cui Kandahar, dove si era rifugiato il leader talebano mullah Omar. Alla fine del 2001, il mullah Omar fuggì da Kandahar verso le montagne. Fu visto per l’ultima volta mentre guidava un gruppo di suoi miliziani su un convoglio di moto.

La guerra proseguì quindi con i rastrellamenti sulle montagne da parte delle forze speciali Usa e GB, i bombardamenti delle roccaforti talebane e l’avanzata via terra dell’Alleanza del Nord. Le truppe terrestri americane, dopo il Vietnam, avevano compiti prevalentemente di individuazione e coordinamento delle operazioni e in campo c’erano principalmente i mujaheddin. Le montagne di Tora Bora erano diventate il rifugio dei talebani e dei terroristi di al-Qaeda: qui si asserragliarono in grotte e bunker sparsi su tutta la regione montuosa. Le operazioni americane proseguirono fino alla bonifica delle aree montuose dove erano stati individuati i gruppi talebani e terroristi rimasti attivi. Ma bin Laden sparì.

Dopo la bonifica di Tora Bora, le forze statunitensi consolidarono la loro posizione nel paese. A Kabul fu formato un governo ad interim sotto la guida di Karzai. Le forze statunitensi stabilirono la loro base principale a Bagram, poco a nord di Kabul. Furono stabiliti molti avamposti nelle province orientali per catturare talebani e fuggitivi di al-Qaeda. I talebani e al-Qaeda infatti non si erano arresi e iniziarono a riorganizzarsi fra le montagne per poi lanciare attacchi di guerriglia usando la tattica della “toccata e fuga“: colpivano le forze statunitensi per poi ritirarsi nelle grotte e nei bunker, al riparo anche dagli incessanti bombardamenti aerei. Una strategia di guerriglia, lanciata anche dai rifugi in Pakistan.

Negli anni successivi, i talebani gradualmente si riorganizzarono in gruppi di circa 50 combattenti per lanciare attacchi ad avamposti isolati e a convogli. Uomini di organizzazioni non governative, dipendenti di organismi umanitari e militari statunitensi morirono in raid, imboscate, attentati.

Alle truppe Usa negli anni si sono affiancate truppe Nato, come alcuni reparti speciali inglesi specializzati nella guerra in montagna.

Dal 2010 in poi il governo legittimo di Karzai detiene un potere simbolico e controlla solo Kabul, mentre il resto del Paese è tornato in mano ai signori della guerra e ai talebani.

Accordo USA – Afghanistan – Nel 2020 viene siglato uno storico accordo per far sì che le truppe americane lascino il territorio afghano in 14 mesi. Nel Paese rimane una considerevole presenza di contingenti NATO a causa dell’instabilità politica e degli attentati terroristici talebani, radicati ancora nel sud-est del paese al confine con il Pakistan