Guarda e fuggi, il Faro Littorio

La storia del Faro Francesco Crispi, a forma di fascio littorio, al largo del Capo Guardafui, in Somalia

Foto TimlashTravail personnel, CC BY-SA 3.0, Lien

Il nome del capo, che costituisce la punta del cosiddetto “Corno d’Africa” in Somalia, era inizialmente Aromatum Promontorium, ovvero “promontorio delle spezie”, ma venne in seguito ribattezzato “Guardafui” per via della sua pericolosità dovuta alla presenza a sud di esso di un altro capo gemello, oggi denominato Falso Capo Guardafui o capo Sennàref, che nelle giornate fosche o di nebbia veniva spesso scambiato per l’originale. I frequenti naufragi avevano introdotto l’uso di dire “guarda e fuggi” o “guardatene” nella lingua franca levantina usata dai navigatori dell’epoca, che era basata principalmente sull’italiano, diventando infine Guardafui in bocca ai portoghesi.

La sequenza dei naufragi fu interrotta dalla costruzione sul capo di un faro durante l’occupazione italiana, acceso poi nel 1924, e denominato Faro Francesco Crispi, al suo interno vi era una stazione marconigrafica ed una radio. Fin qui tutto normale, allora cosa ha di particolare questo faro?

Oggi considerato come un possibile monumento storico della Somalia ha la forma di fascio littorio, l’unico al mondo che si conosca del suo genere. Un faro è simbolo di presidio del territorio, di potenza ed è utile alla navigazione: quale propaganda migliore in una colonia? Se la sua foggia stupisce, è altrettanto curioso come la cosa non sia stata propagata in Italia, dove i simboli del fascismo abbondavano sia sui monumenti costruiti durante il periodo che su quelli preesistenti, come la Stazione Centrale di Milano, e, infine, stupisce anche come nonostante 94 anni trascorsi il faro sia sì in stato di abbandono, ma ancora bene eretto e solido e soprattutto, riconoscibile nella inconfondibile foggia, con quella lama di scure ben evidente sul suo fianco, incastrata tra colonne a foggia di fascio di verghe.

Il capo è da sempre infestato di pirati, dall’epoca romana ai giorni nostri le navi che vi transitano sono ancora in pericolo e dobbiamo proprio alle pattuglie della marina Militare Italiana se solo recentemente si è riscoperta la presenza di questo edificio di cui si era persa memoria. Proprio i passaggi davanti al capo ed i giornalisti spesso presenti a bordo per documentare le difficili storie delle missioni hanno permesso di fotografare il monumento durante le scorte alle petroliere in transito.

Il faro, però, non ha una storia lineare, infatti la prima struttura metallica di circa 15 metri fu eretta a fine ’800 durante il regno sabaudo per segnalare la zona pericolosa, dove frequenti nebbie e correnti impetuose rendevano difficile navigare ricevendo un primo plauso internazionale. Successivamente, però, fu chiesta una “tassa di fanalaggio” che non fu accolta con favore dalle altre nazioni e poi eretto il faro definitivo attraverso la costruzione di un cilindro di circa 20 metri, su di un basamento quadrato in pietra e dalla foggia di fascio littorio. Successivamente alla perdita di sovranità italiana ed a causa della difficile situazione sociale e politica il capo ed il faro furono dimenticati dal mondo ed il governo somalo se ne disinteressò, occupato più nella difficile situazione interna che alle infrastrutture, rendendo ancora più incredibile la sua sopravvivenza e la quasi perfetta conservazione.

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