La primavera araba

La Primavera araba è stato il periodo di rivoluzioni cominciate nel 2011. I paesi maggiormente coinvolti dalle sommosse furono la Siria (dove scoppiò la guerra civile), la Libia (guerra civile), la Tunisia, l’Algeria, l’Iraq e Yemen. Quattro capi di Stato furono costretti alle dimissioni, alla fuga e in alcuni casi furono uccisi: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali, in Egitto Hosni Mubarak, in Libia Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, fu catturato e ucciso dai ribelli, con l’aiuto determinante di Stati Uniti e Francia, e in Yemen Ali Abdullah Saleh.

In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio 2011, dopo diciotto giorni di continue dimostrazioni, accompagnate da vari episodi di violenza, costrinsero alle dimissioni (complici anche le pressioni esercitate da Washington) il presidente Mubarak dopo trent’anni di potere. Il Paese, dopo la caduta di Mubarak, è attuyalmente (2020) nelle mani del generale Al-Sisi dunque alle forze armate che hanno compiuto un colpo di Stato destituendo il governo dei Fratelli Musulmani, islamico ma moderato.

Sia l’instabilità portata dalle proteste nella regione mediorientale e nordafricana, sia le loro profonde implicazioni geopolitiche, attirarono grande attenzione e preoccupazione in tutto il mondo.

Determinante l’utilizzo di social network come Facebook e Twitter per organizzare, comunicare e divulgare determinati eventi a dispetto dei tentativi di repressione statale. La Primavera araba ha avuto lo scopo di portare o riportare le tradizioni del mondo arabo al potere.

Le cause che hanno portato alle rivolte sono numerosi e comprendono la corruzione da parte dei leader e dell’establishment, l’assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e la mancanza di interesse per le condizioni di vita, molto dure, che in molti casi rasentano la povertà estrema. Hanno poi cercato di approfittarne movimenti estremisti e terroristici di matrice islamica, come i Fratelli Musulmani che sono riusciti anche a prendere il potere in alcuni Stati, riportando in vigore leggi ancora più opprimenti e antiquate.

Determinante fu la crisi economica del 2007 / 2008 (grande recessione) che si abbattè anche sui Paesi del Maghreb e provocò una forte crescita della disoccupazione e un forte rialzo dei prezzi.

In Libia si verificarono inizialmente rivolte nella città di Bengasi: scontri fra manifestanti e polizia con numerosi morti; Bengasi, città simbolo della rivolta libica che intendeva cacciare Gheddafi, al potere da quarant’anni. Bengasi, poco fedele al leader libico e influenzata dalla cultura islamista. E dopo le proteste scoppio una vera e propria guerra civile. La rivolta si allargò anche alla capitale Tripoli dove si fece ricorso a raid dell’aviazione sui manifestanti per soffocare la protesta.

Cominciarono le defezioni dei politici libici: la delegazione libica all’Onu prese nettamente le distanze da Gheddafi che nel frattempo si diede alla fuga. Ma il 20 ottobre 2011 Gheddafi venne catturato e ucciso vicino Sirte. Il suo cadavere fu poi sepolto nel deserto vicino a Misurata.

La Libia del dopo Gheddafi è sprofondata in una guerra civile permanente. Nel 2014 il generale Haftar (sostenuto dagli Usa da cui ha ottenuto anche la cittadinanza – in origine ufficiale dell’esercito di Gheddafi e poi in esilio negli Usa in quanto oppositore di Gheddafi prima e durante la primavera araba) ha compiuto un colpo di Stato prendendo il potere a Bengasi in Cirenaica al confine con l’Egitto. Nel 2015 viene creato un governo di accordo nazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite con a capo Al-Sarraj. Benché legittimato dall’Onu, il governo non è riconosciuto dalla Cirenaica e da Haftar.