Le guerre civili in Jugoslavia

I MASSACRI, LE PULIZIE ETNICHE, I GENOCIDI

Dieci anni dopo la morte di Tito, la Jugoslavia è stato teatro di guerre civili e conflitti secessionisti, che hanno coinvolto tutti i territori della Federazione (Jugoslavia era una federazione) e ne hanno provocato la dissoluzione. Queste guerre si sono svolte nel decennio 1991 – 2001.

La Jugoslavia era composta da 3 etnie principali che coesistevano in aree geografiche comuni:

  • Serbi‎: ‎36%
  • Croati‎: ‎20%
  • Sloveni‎: ‎8%

E da 2 religioni principali:

  • Cristiani ortodossi
  • Musulmani

Etnie e appartenenze religiose erano mescolate nelle 5 aree geografiche che costituivano la Jugoslavia di Tito, coercitivamente unite sotto il regime socialista: Tito era riuscito a bilanciare le diverse istanze nazionalistiche placando le forze centrifughe (etniche e religiose). La Jugoslavia di Tito era stata tra i fondatori dei Paesi non allineati, distaccandosi sia dal blocco occidentale sia dal blocco orientale. Le 5 aree erano (4 repubbliche e una provincia serba, il Kosovo, che insieme formavano la Federazione jugoslava):

  • Serbia
  • Croazia
  • Slovenia
  • Bosnia
  • Kosovo

In sintesi

La Serbia di Milosevic si rese protagonista di 3 guerre di aggressione: 1. contro la Slovenia (1991) 2. contro la Croazia (1991-95) e 3. contro la Bosnia-Erzegovina (1992-1995), nonché di crimini di guerra (assedio di Vukovar) e di genocidio in Bosnia (massacro di Srebrenica e assedio di Sarajevo), infine dell’azione di repressione contro la popolazione albanese nella provincia serba del Kosovo.

Le cause

Alla morte di Tito, nel 1980, la Jugoslavia era uno stato federale. Ma l’unità andò via via disgregandosi a causa del crescente nazionalismo etnico e religioso nelle diverse Repubbliche. Il nazionalismo etnico e religioso fu la prima causa delle guerre in Jugoslavia. La seconda causa furono le condizioni economiche della Federazione: fra le Repubbliche si erano create profonde differenze economiche che minavano l’unità. Terza causa, gli interessi e le ambizioni personali dei leader politici coinvolti. Fra questi Slobodan Milosevic, divenuto presidente della Serbia nel 1989.

Alla fine degli anni 80 la Slovenia storicamente legata alla Mitteleuropa, manifestò l’esigenza di staccarsi dalla Federazione, contemporaneamente fra serbi e albanesi in Kosovo cominciava a crescere il malessere. Il Kosovo era provincia serba a schiacciante maggioranza albanese e chiedeva, come già in passato, indipendenza dalla Serbia. Ma gli intellettuali serbi rilanciarono alla fine degli anni 80 il nazionalismo serbo basato sulla creazione di una “Grande Serbia” (concausa scatenante della prima guerra mondiale): la Serbia perseguì, durante i 10 anni di conflitti, l’ideologia nazionalista che è sempre stata alla base di tutte le sue guerre. Infine in Croazia si formò il partito di destra con idee scioviniste guidate da Tudjman. Quindi, alla fine degli anni 80 vi erano tensioni crescenti in Slovenia, Kosovo e Croazia.

All’inizio del 1990 venne convocato l’ultimo congresso federale di Jugoslavia dove ci fu uno scontro frontale tra delegati serbi e sloveni.

Guerra d’indipendenza slovena

Fu la prima. Nel 1990 in Slovenia vennero indette elezioni, che determinarono la vittoria di forze di centrodestra e stessa cosa avvenne in Croazia dove i nazionalisti di destra di Tudjman vinsero le consultazioni. Sempre nel 1990 in Slovenia si tenne un referendum sull’indipendenza e sulla sovranità slovena e la quasi totalità degli sloveni votò a favore. Mentre il parlamento sloveno avviava le procedure per l’indipendenza dalla federazione, il parlamento croato votò l’indipendenza della Croazia. Così anche il parlamento sloveno votò l’indipendenza della Slovenia che fu subito annunciata alla popolazione.

Nel 1991 l’esercito della federazione jugoslava (di fatto l’esercito serbo) tentò di prendere il controllo del Paese, ma il nuovo esercito della neonata repubblica indipendente di Slovenia sostenuto dalla popolazione ma anche da Austria e Germania, riuscì in soli dieci giorni a risolvere il conflitto, garantendo autonomia e indipendenza della nuova Slovenia.

Guerra serbo – croata

Seconda guerra. Anche in Croazia, successivamente al voto parlamentare, nel 1991 era stata proclamata l’indipendenza a seguito della quale il presidente Tudjman costituì un esercito nazionale croato, ciò provocò l’intervento dell’esercito federale jugoslavo, comandato dalla Serbia per ripristinare il controllo sulla Croazia. L’obiettivo era impedire il distacco della Croazia ove risiedeva anche una considerevole popolazione serba. Furono attaccate numerose città croate, fra cui Vukovar. L’assedio di Vukovar divenne simbolo della guerra serbo-croata. Qui convivevano pacificamente fino a pochi mesi prima croati e serbi. La città fu bombardata e quasi tutti gli edifici furono rasi al suolo dall’esercito federale (l’esercito jugoslavo che ormai rispondeva agli ordini del serbo Milosevic).

Le città croate caddero sotto il controllo dell’esercito federale cioè dei serbi.

Su pressioni internazionali e a seguito dell’invio di forze di pace Onu, l’esercito federale si ritirò dalla Croazia, così anche la Croazia (assieme alla Slovenia) divenne indipendente e fu riconosciuta ufficialmente dalla CEE ed entrò a far parte dell’ONU. Nei mesi successivi il conflitto continuò su piccola scala e le forze croate riconquistarono le città passate sotto il controllo serbo: insieme ai paramilitari ripresero il territorio controllato dai serbi, massacrando i civili e provocando la fuga di 200mila serbi. Una operazione militare (e di pulizia etnica). Durante queste operazioni i croati compirono violenze inaudite contro i serbi e crimini contro l’umanità uccidendo anche militari delle forze di pacificazione dell’ONU. Il conflitto in Croazia si concluse nel 1995 con gli accordi di Dayton.

Guerra in Bosnia ed Erzegovina (1992-1995)

GUERRA BOSNIA ERZEGOVINA

«In Bosnia Erzegovina viene condotta una guerra mondiale nascosta, poiché vi sono implicate direttamente o indirettamente tutte le forze mondiali e sulla Bosnia Erzegovina si spezzano tutte le essenziali contraddizioni di questo e del terzo millennio». Kofi Annan, segretario generale dell’Onu

Per capire le cause dell’estensione della guerra in Bosnia ed Erzegovina bisogna conoscere la composizione etnica di questa area: bosniaci musulmani 44%, serbi 31%, croati 17%. Mentre la guerra infuriava in Croazia, con l’assedio di Vukovar e di altre città, la Bosnia Erzegovina, formata dalle tre diverse etnie era in una situazione di pace instabile, in quanto le tensioni etniche erano pronte a esplodere.

Anche in Bosnia nel 1992 il Parlamento bosniaco, scontrandosi con i serbi di Bosnia, indisse un referendum per l’indipendenza: la maggioranza votò per la secessione dalla Jugoslavia. I serbi di Bosnia, guidati da Karadzic, si opposero all’indipendenza e contemporaneamente l’esercito federale (esercito serbo) schierò le sue truppe e occupò tutti i maggiori punti strategici. Tutti i gruppi etnici si organizzarono in formazioni militari ufficiali e iniziò una guerra fra le 3 etnie. Fu la più complessa, caotica e sanguinosa guerra in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Gli accordi di cessate il fuoco venivano firmati e disattesi, le missioni di pace dell’Onu furono tutte fallimentari.

Catena di comando dei serbi: Milosevic + Karadzic (leader politico serbo di Bosnia) + generale Mladic (serbo e comandante delle forze serbe in Bosnia).

La guerra civile jugoslava a partire dal 1992 si estese dunque in Bosnia. Inizialmente si fronteggiarono i croati di Bosnia (la Croazia inviò truppe a sostegno dei suoi connazionali) alleati ai musulmani di Bosnia (che definiamo “bosniaci”) contro i serbi di Bosnia (o serbo-bosniaci) che avevano costituito l’esercito serbo di Bosnia agli ordini del generale Mladic. Nelle fasi successive, si scontrarono croati di Bosnia contro musulmani di Bosnia.Nella prima fase, dunque, bosniaci e croati combatterono alleati contro i serbi, i quali erano dotati di armi più pesanti e controllavano gran parte del territorio rurale, con l’eccezione delle grandi città di Sarajevo e Mostar. Successivamente il conflitto scoppiò anche fra bosniaci musulmani e croati per la spartizione del territorio nazionale. Contro i civili musulmani i croati attuarono una campagna di pulizia etnica fra il 1992 e il 1993, simile a quella attuata contro i serbi durante la guerra in Croazia. I musulmani subirono omicidi di massa, stupri, reclusione nei campi di concentramento croati. Il governo croato di Tudjman appoggiò – come detto – i croati di Bosnia. Mostar, già precedentemente colpita dai serbi, fu colpita anche dai croato-bosniaci. Sarajevo fu messa sotto assedio per 3 anni. Accanto all’esercito serbo operavano milizie degli ultranazionalisti serbi e compirono massacri di civili ed operazioni sniper (cecchini) contro la popolazione civile inerme (fra gli sniper, anche atleti olimpici di tiro che colpivano obiettivi umani). I crimini principali avvennero a Sarajevo (vedi più avanti).

Fra le milizie paramilitari di tutti gli schieramenti c’erano molti volontari provenienti da vari Paesi d’Europa di area neonazista ed estremisti di destra, mentre tra le fila musulmane c’erano combattenti fondamentalisti islamici, Hezbollah libanesi e guardie rivoluzionarie iraniane.

L’assedio di Sarajevo – Iniziò nel 1992 e durò 4 anni: le forze del governo bosniaco erano assediate in città dall’esercito jugoslavo (serbo) e dalle forze armate serbe (serbo-bosniache cioè di Serbi residenti in Bosnia che rispondevano agli ordini di Belgrado – Serbia) che si opponevano all’indipendenza della Bosnia e intendevano sottometterla al controllo serbo. I musulmani controllavano il centro di Sarajevo, mentre i serbi controllavano il resto della città e le colline intorno ad essa. Da circa 200 bunker sulle colline iniziò il bombardamento di Sarajevo. Sarajevo era completamente isolata dalle forze serbo-bosniache (cioè dei militari Serbi residenti in Bosnia). Le principali strade che conducevano in città furono bloccate, così come i rifornimenti di viveri e medicine, acqua, elettricità e riscaldamento.

I serbi si erano inoltre infiltrati all’interno della città ed erano ovunque con lo scopo di colpire la popolazione bosniaca e musulmana. Furono commesse gravi atrocità, perché oltre ai bombardamenti di artiglieria che colpirono tutti gli edifici cittadini (oltre 300 esplosioni al giorno) al grido “attenzione, cecchino!” (cecchino = sniper) sparavano sui civili (uomini, donne e bambini) dagli edifici. Per aiutare la popolazione assediata, l’ONU inviò rifornimenti. La Forza di protezione ONU (UNPROFOR) venne quindi inviata in Bosnia per proteggere gli aiuti umanitari e i rifugiati civili, ma con scarsi risultati. Le uccisioni di massa dovute ai bombardamenti erano all’ordine del giorno. Stessa cosa per i cecchini (sniper) che uccidevano i passanti e persone in fila per l’acqua o per il cibo. Durante i 4 anni, l’assedio fu interrotto solamente per una giornata, nel 1992, da un gruppo di 500 pacifisti, partiti dall’Italia che marciarono per la pace.

Dopo questi massacri e dopo che furono colpite postazioni dell’ONU a Sarajevo, i jet della NATO diedero quindi il via all’operazione Deliberate Force e cominciarono ad attaccare obiettivi strategici serbi. Anche gli scontri sul campo aumentarono di intensità, con l’intervento di forze armate bosniache e croate. Ma via via che gli aerei della NATO colpivano gli obiettivi serbi, riducendo la capacità offensiva delle forze serbo-bosniache (i serbi di Bosnia), i combattimenti diminuirono e i serbi persero sempre più terreno nell’area di Sarajevo. Il riscaldamento, l’elettricità e l’acqua tornarono a Sarajevo.

I militari di tutte le fazioni compivano deliberatamente omicidi di civili e spesso massacri nei villaggi di civili appartenenti all’etnia opposta. In risposta, l’esercito di quell’etnia attaccava massacrando i civili dell’etnia il cui esercito aveva provocato il massacro precedente. Il metodo era simile per tutte le forze in campo: i paesi venivano occupati, i civili massacrati e veniva commessa ogni atrocità.

La comunità internazionale – L’effetto CNN cioè l’indignazione provocata nell’opinione pubblica dai servizi in diretta trasmessi dai network, fu determinante per smuovere i governi. L’intervento della comunità internazionale infatti fu inizialmente blando. Del tutto insufficiente si rivelò l’invio del contingente ONU, l’UNPROFOR, che non riuscì in alcun modo a impedire il perpetrarsi di massacri contro la popolazione civile. Le proposte di pace della comunità internazionale furono tutte fallimentari.

La distruzione della società: violenza etnica – La guerra in Bosnia ed Erzegovina non ha soltanto causato moltissime vittime e danni materiali, ma ha distrutto dalle fondamenta la dimensione morale della società: le politiche etnico-nazionaliste, che hanno svolto un ruolo cruciale nel conflitto, sono riuscite a dissolvere l’integrazione, la tolleranza e la fiducia reciproca tra le persone, evidenziata nei tanti “matrimoni misti” che si registravano in Bosnia.

A causa di quattro anni di violenze e pulizia etnica, i cittadini della Bosnia hanno perso quasi tutti i diritti fondamentali, perché la vita stessa aveva perso valore, ed è stata attaccata e degradata la loro integrità individuale, riducendoli puramente alla loro componente etnica.

Il massacro dei musulmani a Srebrenica: nel 1995 le truppe serbe del generale Mladic occuparono la “zona di sicurezza” delle Nazioni Unite a Srebrenica nella Bosnia orientale e circa 8.000 uomini furono uccisi in città, nel massacro di Srebrenica. L’UNPROFOR, presente con un contingente di 400 olandesi, non riuscì a impedire l’occupazione della città e il massacro.

Deliberate Force – A seguito delle atrocità connesse, la NATO scatenò l’operazione Deliberate Force contro i serbi di Bosnia di Karadzic. La campagna militare aerea della NATO, data l’evidente superiorità, inflisse gravi danni alle truppe serbo-bosniache e fu fondamentale per portare i serbi al tavolo delle trattative di pace e ai colloqui di Dayton.

Ciascuno dei tre gruppi nazionali si rese protagonista di crimini di guerra e di operazioni di pulizia etnica, causando moltissime perdite tra i civili.

Accordi di Dayton

La guerra in Bosnia Erzegovina e in Croazia si concluse con gli accordi di Dayton, nel 1995. Parteciparono ai colloqui di pace tutti i rappresentanti politici della regione: Milosevic, presidente della Serbia e rappresentante degli interessi dei Serbo-bosniaci (Karadzic era assente), il presidente della Croazia Tudjman e il presidente della Bosnia ed Erzegovina Izetbegovic. La conferenza di pace fu organizzata da Usa e Russia. Gli accordi stabilivano le frontiere, uguali ai vecchi confini fra le repubbliche della federazione, e prevedeva la creazione di due entità interne in Bosnia: una croato-musulmana e una serba.

La guerra del Kosovo

Ma le guerre nell’ormai ex Jugoslavia non erano terminate. Nemmeno con gli accordi di Dayton. Fra il 1996 ed il 1999 ci fu la guerra del Kosovo, regione allora inclusa all’interno della Serbia (e Montenegro). Dalla fine della seconda guerra mondiale il Kosovo era parte della Serbia, i cui abitanti però erano a maggioranza albanesi e di religione musulmana. Con la morte di Tito e le guerra di indipendenza delle altre repubbliche, anche in Kosovo cominciarono le rivendicazioni indipendentiste.

Per i dieci anni precedenti quasi due milioni di albanesi del Kosovo hanno resistito al governo serbo nonostante la continua violazione dei diritti civili, nel totale disinteresse dell’Europa e dell’Occidente. Alla resistenza pacifica seguirono azioni terroristiche dell’UCK (gli albanesi del Kosovo) contro le postazioni militari serbe e la repressione serba fu sempre più dura. Nel 1999 ci fu l’intervento della NATO contro la Serbia. Già nell’anno precedente, mentre la guerra sul terreno si espandeva e la repressione dei serbi si faceva via via più sanguinosa, la NATO adottò una politica di dissuasione contro la Serbia di Milosevic. Da Aviano e dalle altre basi NATO italiane presero il volo i caccia bombardieri (l’offensiva Nato fu aerea, senza presenza di truppe sul suolo). L’Italia partecipò con i propri Tornado e fu il secondo intervento militare italiano a carattere offensivo dalla fine della seconda guerra mondiale (il primo era stato la guerra del golfo contro l’Iraq nel 1991). La Serbia subì centinaia di raid aerei al giorno, venivano utilizzate anche munizioni all’uranio impoverito durante i bombardamenti, con i noti effetti letali sulla salute (tumori).

L’esercito serbo e le milizie degli ultranazionalisti serbi (che già avevano operato in Bosnia-Erzegovina con massacri di civili ed operazioni sniper) uccisero in tutto 13mila civili kosovari e 20mila donne furono stuprate dai serbi, inoltre attuarono azioni di pulizia etnica, per provocare la fuga degli albanesi e liberare il kosovo dall’etnia albanese. I rifugiati verso la Macedonia e l’Albania furono 800.000.

Con la capitolazione della Serbia, ci fu il dispiegamento a terra della missione NATO-KFOR, disposta dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, con Russia e Cina, a guida NATO.

La fine di Milosevic

Milosevic fu arrestato nel 2001 su mandato del tribunale internazionale dell’Aja e imputato per crimini contro l’umanità. Il processo si è interrotto a causa della morte dell’imputato nel 2006.